Facebook ammette che tutti devono pagare, ma non è una tragedia

Facebook ammette che prima o poi tutti devono pagare, non è una tragediaProbabilmente molti se n’erano accorti anche senza l’annuncio ufficiale sul blog di Facebook for Business, la visibilità dei post delle pagine Facebook è in caduta libera.

All’inizio si dà sempre la colpa agli algoritmi fantasiosi, al famigerato EdgeRank e alle modifiche continue e incessanti, ma la verità (piuttosto condivisibile, a dirla tutta) è che, al netto di tutti i difetti che vogliamo trovare alla piattaforma, probabilmente il problema è proprio di sovraffollamento.

Gli utenti attivi stanno diventando troppi e il newsfeed attuale, costruito su una sola colonna, proprio non ce la fa a mostrare più post di così, e la “competizione” per ottenere quello spazietto in cui viene mostrata la news aumenta sempre di più. Se aggiungiamo il fatto che i filtri intelligenti talvolta così intelligenti non sembrano, otteniamo dei notevoli cali a livello di risultati.

Qualcuno, per ovviare al problema della portata quasi dimezzata, ha pensato di pubblicare il doppio dei post, ma ha finito soltanto per peggiorare la situazione. Prima di tutto perché le formule non sono così elementari, e poi perché l’oversharing non fa altro che saturare ancora di più questo “mercato della visibilità” che sono i newsfeed degli utenti, aumentando di fatto anche i costi. (Com’era quella cosa che se non paghi per utilizzare un prodotto, in realtà il prodotto sei tu? Ve la ricordate?)

A dare il colpo di grazia ci ha pensato Facebook stesso, quando ha consigliato pubblicamente di acquistare inserzioni per aumentare la visibilità dei post della propria pagina. Scandalo! Eresia! E invece no. Sapevamo tutti che sarebbe successo, prima o poi. Facebook non è un’associazione umanitaria, è una multinazionale quotata in borsa che deve generare profitto.

Allo stato attuale può incassare solamente sulle spalle degli inserzionisti, che a loro volta possono solo farsi furbi. La situazione è quella che è, in casa loro dobbiamo sottostare alle loro regole. A meno di clamorosi cali di investimenti nel primo trimestre 2014 (tutt’altro che probabili, a mio avviso), possiamo solo adeguarci e continuare a puntare, oggi più che mai, sulla santissima trinità della content strategy: qualità, qualità, qualità (intesa come offrire un qualcosa di utile a chi legge, niente gattini, ndr).

E utilizzare in modo intelligente l’investimento in advertising, per amplificare la portata dei post e rivolgerli a chi (potenzialmente, si capisce) potrebbe davvero apprezzarli, senza sparare nel mucchio e senza comprare semplici visualizzazioni di una foto.

Fatevi
sentire.

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