Non ha più senso parlare di Big Data. E adesso?

Avrei potuto unirmi a tutti coloro che in questi giorni di Sanremo, di Masterchef e di Elezioni stanno macinando numeri e producendo post di analisi quantitative per stabilire che “il web”, questa entità onnisciente e multiforme, sapeva già tutto e può tranquillamente prevedere i risultati di qualsiasi cosa, basta guardare i numeri. Avrei potuto inserire due numeretti in un grafico e dire che “il vero vincitore è”…

Invece voglio andare controcorrente, e dico “Basta guardare i numeri”, nel senso che la dobbiamo smettere di guardare solo i numeri. Altrimenti va a finire che diamo solo i numeri e ci perdiamo le informazioni importanti.

Andiamo per gradi e partiamo dai numeri che tutti usano (o meglio, affermano di usare): i famosissimi Big Data. Qualunque cosa che riguardi l’analisi di una certa quantità di dati, piccola o grande che sia, oggi si basa sui Big Data. O meglio, viene venduta come tale. Il termine Big Data (purtroppo) è stato svuotato del suo significato, e viene utilizzato dai media per indicare attività che con l’accezione reale c’entrano poco e niente. Inoltre, c’è più di una critica che si potrebbe muovere alla pratica di “spacciare” i dati raccolti per Big Data e diffonderli come tali.

A dire la verità ci sono due scuole di pensiero: una si basa sull’esigenza di contestualizzare i dati e sul fatto che non tutti hanno le capacità e l’istruzione per poterci riuscire, un’altra sostiene che basterebbe utilizzare dei campioni statisticamente rappresentativi delle popolazioni studiate. Noi ci collochiamo nella prima.

Ogni giorno infatti si creano milioni di dati potenzialmente interessanti, e occorrerebbero diverse sessioni parallele di software per analizzarli correttamente. E badate bene, sono dati solo potenzialmente interessanti, perché quelli che poi verranno presi in considerazione sono una minima percentuale. E vanno interpretati!

Facciamo finta per un attimo che i Big Data siano morti e sepolti, passati. Che facciamo adesso? Per iniziare, non ci preoccupiamo più del volume e della varietà dei dati, pensiamo invece a sfruttare le nuove tecniche e i nuovi tool sul mercato, entrando già adesso nelle nuove “nicchie” che nasceranno nell’universo dei metodi di analisi: Netnografia? Smart Data? Noi, ovviamente, siamo di parte. L’elemento umano è e sarà sempre indispensabile, non c’è software che tenga.

L’autenticità non è qualcosa di intrinseco agli oggetti, né tanto meno di universale. L’autenticità è sempre qualcosa di contestuale. E non credo ci sia bisogno di dirvi che più sono autentici i dati più è valida la traduzione scientifica delle conversazioni analizzate.

Fatevi
sentire.

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