Influence Marketing di Huawei: gli anti Troll (e bot) al servizio di Huawei

Influence Marketing di Huawei: gli anti Troll (e bot) al servizio di Huawei

Una micro campagna di Digital Pr condotta in Belgio, mette in luce l’aggressiva strategia in fieri di Influence Marketing di Huawei, orchestrata con metodi da intelligence militare.

Scalfito dal Covid-19 e dall’embargo della politica americana, il gioiello dell’IT cinese soffre un’ondata di ostracismo, si scheggia ma non si rompe.

Sotto attacco

Abbandonata da Google, che ha sottratto ai suoi device il Playstore e le sue app, da Gmail a Chrome, Huawei ha perso quote importanti nei mercati consumer e  ha subito una scossa micidiale nel 5G. Che resta la sua eccellenza high tech, e nei piani di Shenzhen dovrebbe ancora essere il trampolino verso la leadership mondiale nel settore più strategico che esista oggi.

In questo scenario, ancor più livido per via del Virus, per tutto il 2020 Huawei è stata bersaglio di una campagna mondiale volta a dissuadere i singoli Paesi dall’utilizzare asset tecnologici del Big Tech cinese. Una campagna creata e sostenuta apertamente da gruppi d’interesse americani, e che ha prodotto i suoi effetti deterrenti in molti scenari, a cominciare da quello britannico.   

Contromosse

Per mesi Huawei è parsa accusare colpo su colpo, ma data la posta in palio è ben lontana dalla resa. Al di là di una leggera risalita nel consumer, alcuni elementi recenti sembrano rivelare un impianto strategico, per l’Influence Marketing di Huawei, adatto ai contrattacchi. Adam Satariano, editor esperto di tecnologie ha ricostruito la vicenda in dettaglio per il New York Times.

Tutto comincia il 17 Dicembre 2020 in Belgio quando Edwin Vermulst, un consulente legale di diritto commerciale, pubblica un post redazionale, a pagamento quindi, in difesa di Huawey. Il post attacca a testa bassa la politica belga nei confronti della stakeholder cinese.

Redazionali e Bot

Il tono di Vermulst è veemente, anche se il fatto che si tratti di un ‘editoriale’ su commissione è dichiarato in un disclaimer ben visibile: l’avvocato del resto è stato consulente dell’azienda orientale.

Quel che succede dopo, però, è ben più interessante per gli osservatori.

In tempi stretti, una massa critica di profili Twitter, apparentemente di giornalisti, esperti e accademici, cominciano a diffondere il redazionale e altri post simili, che attaccano con forza lo schema legislativo belga sul G5. Colpevole di impedire, secondo i detrattori, il coinvolgimento di operatori ad “alto rischio”. Definizione opinabile, a dire dei post,  perché ‘creata’ per tenere Huawei fuori dai giochi e da lucrative commesse.

profili fake e covert influence marketing
Alcuni dei 14 profili Twitter

A prima vista i profili sembrano verificati, con un numero significativo di follower, quasi tutti oltre il migliaio, informazioni di carriera e di corporate life, statement motivazionali, ecc. Tutto normale all’apparenza, ma all’occhio di alcuni esperti, i conti non tornano.

I primi a porsi dubbi sono gli analisti di Graphika, un istituto di ricerca quali-quantitativa che studia i meccanismi di disinformazione e di manipolazione sui social media.

Insospettiti, i ricercatori ci mettono poco a scoprire che le foto di almeno 14 dei profili sono state scelte e postate da software automatici che ‘neutralizzano’ i sistemi di riconoscimento uomo/macchina. Per intendersi si tratta di sistemi capaci di aggirare la fase che tutti incontrano quando si crea un profilo social: “non sono un robot”.

L’indizio di attività inautentica è evidente.

Viralità Corporate

Prima che Graphika renda nota la sua analisi, i vertici del Cap Flower orientale, con i loro profili verificati, cominciano a condividere i post pro Huawei dei profili in questione, quelli fake, aumentandone in modo esponenziale la diffusione on line.

Lo fa Kevin Liu, Presidente Huawei per le commesse pubbliche e le telecomunicazioni in Europa. Con il suo account verificato da 1,1 milioni di follower, in tre settimane dello scorso dicembre condivide almeno 60 post di account fake.

I repost dei vertici europei di Huawei
I vertici Huawei Europe ritwittano il ‘redazionale’…

L’account ufficiale di Huawei Europa, con 5 milioni di follower fa altrettanto per 47 volte.

covert campaign per Huaweii
…e altri ‘attacchi’ in tema.

Procedendo nell’analisi Graphika riesce a individuare ancora l’utilizzo di Bot nella moltiplicazione virale dei post. Ma la strategia è in atto, e il meccanismo procede nella diffusione.

Fino al 30 dicembre, quando Twitter, allertata, conduce un controllo e decide di chiudere i 14 profili mettendo fine alla “covert campaign“, come si dice in ambienti militari e di intelligence, che conferisce una prospettiva marziale all’Influence Marketing di Huawei.

Tanto rumore per nulla?

La campagna belga sembra avere avuto effetti ridotti, anzi,  ha acceso un’attenzione indesiderata sugli sforzi lobbistici di Huawei.  La linea di Bruxelles sul G5 non si è spostata di un millimetro, anche se il quadro legislativo è ancora al vaglio di una politica parlamentare complicata almeno quanto quella italiana.

Non si tratta in sé uno scandalo: nella sfida globale al 5G i colpi bassi si sprecano, e Huawei difende la sua posizione con argomenti e ragioni che possono essere legittimi o meno, a seconda delle opinioni e dei contesti, ma di certo sono cruciali per la sua fortuna.

Ciò che colpisce, però, è il mezzo che diventa messaggio, come insegnava Mc Luhan: tattiche di manipolazione dei media, con tanto di fake e bot, finora usate in ambito politico, militare e di intelligence, diventano pratiche di Influence Marketing per difendere o conseguire obiettivi corporate.

Disinformazione Corporate

Phil Howard, direttore dell’Oxford Internet Institute, ritiene che siamo all’inizio di un vero e proprio trend: operazioni del genere saranno sempre più comuni, nella misura in cui si attribuisce un valore ‘commerciale’ alla disinformazione, alla contro informazione e alla manipolazione dei social.

In un recente report, i ricercatori dell’Università di Oxford hanno identificato nel 2020 almeno 63 episodi in cui aziende di Digital Pr risultano coinvolte in operazioni di disinformazione rivolte a pubblici ‘business’.

Osservando i flussi di budget, il fenomeno è evidente: attività di influence su larga scala sono ormai parte integrante del communication kit di tutte le corporation di scala globale”.

Phil Howard

Un nuovo genere di B2B, insomma.

Art: Viralbeat Design Team

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